venerdì 29 marzo 2013

Pagare e giocare.....

"..... Oggi devono giocare tutti perché pagano. Questo è corretto, perché se tutti pagano, tutti hanno diritto di giocare. Ma non è automatico che pagare garantisca il risultato migliore, è solo un servizio. Oggi si mandano i ragazzi alle scuole calcio come si manderebbero a studiare inglese o pianoforte. Non è la stessa cosa, sono anzi cose opposte. Il calcio, la corsa, il pallone, sono sfoghi contro lo studio dell'inglese o del pianoforte. Prima si studia, poi si gioca......."

Tratto da "IL CALCIO DEI RICCHI" di Mario Sconcerti, Dalai Editore, pag.188

martedì 26 marzo 2013

IL FLA'

PUBBLICO UN POST  DEL GRANDE FLAVIO TRANQUILLO
http://www.flaviotranquillo.com/il-baso-e-il-bambino/


Sto facendo il riscaldamento in campo e sento una vocina che mi dà della testa di c… Mi giro e vedo un bambino di dieci anni al massimo. Mi sono avvicinato e gli ho chiesto: “Ma chi ti ha insegnato a vivere così lo sport? Quando giocavo nella Fortitudo eri appena nato, non puoi avercela con me”. Lui imbarazzatissimo mi ha chiesto scusa ma mi ha fatto riflettere … In Italia nello sport c’è qualcosa di sbagliato, di profondamente sbagliato."
 Gianluca Basile


Gianluca mi fa pensare spesso quando parla. Mai come questa volta. Detto che se anche avesse avuto 40 anni quel bimbo NON sarebbe stato minimamente giustificato, non possiamo dribblare l’argomento. E’ nostra responsabilità, tutti i giorni, fare qualcosa per quel bambino e soprattutto per noi. Non si tratta di discutere od esaltare Basile ma di fare dei passi, più di 10 ed anche più di 100, e non voltarsi dall’altra parte. Per quelli che non l’avessero già capito io sono un moralista. Convinto ed orgoglioso di esserlo. So che è peggio che confessare una corruzione aggravata od un 416-bis qui, ma me ne infischio allegramente. Il bambino è soprattutto vittima, non c’è dubbio. Questo è solo un caso, in cui non c’è il Baso buono ed il bambino cattivo, anzi. Trovo che l’appartenenza evocata da Gianluca, che stimo immensamente, sia fuorviante per esempio. Pensare di dividere il mondo tra virtussini e fortitudini è una pessima abitudine, peraltro invalsa in qualsiasi settore ed utilizzata come unico metodo di confronto. In Calabria ai bambini chiedono: “A cu’ apparteni ?”, “a chi appartieni ?”. Io non appartengo a Virtus o Fortitudo, a Milano o Siena, a destra o sinistra, al Fatto o al Giornale, a SKY o alla RAI. Provo, coi miei limiti, ad essere un uomo libero, riuscendoci poco ma tendendo con forza verso questo obiettivo, e non quello di dimostrare che “gli altri” sono cattivi o teste di c—o. In questo episodio c’è una valenza generale talmente forte che non può essere evitata guardando al dito e nascondendosi la luna. La cultura dell’appartenenza non può sempre e comunque prevalere. Il fatto che io, voi e Basile l’abbiamo stoltamente praticata in passato non può diventare una scusa per calpestare tutto e tutti, per insultare e per vedere la vita (e quindi lo sport) come un eterno regolamento di conti. E non si provi a mettere in capo al bambino un processo di conoscenza, valutazione e quindi sanzione delle colpe passate di Basile per giustificarlo, per l’Amor di Dio. Basta con le scuse, la responsabilità (non solo penale) è individuale. Tocca a tutti noi, senza nascondersi dietro calcio, mass media, politica ed altro (pur con le feroci critiche che meritano). Lo merita quel bambino, che ripeto non ha colpe ma dovrebbe capire di aver fatto una cosa profondamente sbagliata. Two wrongs don’t make a right. Mai.