sabato 18 gennaio 2014

I tre no dell'Hajduk Spalato

Articolo di Andrea Luchetta, preso dal settimanale ET della Gazzetta Dello Sport

L'HAJDUK DICE ADDIO ALL'ULTIMO PARTIGIANO

"L'ultimo campione dell'Europa libera se ne è andato a fine Dicembre, pochi giorni prima di compiere 90 anni. Hrvoje Culic, una vita fra il cielo e il mare della sua Spalato, era rimasto da solo a custodire la memoria di una delle squadre più straordinarie del Novecento. Solo, un pò come lo era in campo, lui portiere di quell'Hajduk che seppe trasformarsi nella squadra della Resistenza europea. "Tutto ebbe inizio nel 1941, quando i dirigenti del club pronunciarono il primo dei tre NO" racconta il giornalista Aleksandar Holiga. Spalato era stata appena annessa all'Italia. In un incontro con le autorità fasciste, i dirigenti dell'Hjduk rifiutarono di eseguire il saluto romano, prima di respingere l'offerta di giocare in Serie A se avessero cambiato il nome in AC Spalato. Pochi giorni dopo il governatore Bastianini dichiarò fuori legge tutte le squadre della città. I dirigenti dell'Hajduk nascosero tutti i trofei nella pasticceria di Ante Kesic, difensore degli anni venti. Frane Matosic, il miglior giocatore nella storia del club, fu costretto a trasferirsi al Bologna -si racconta -dietro minaccia di internare la famiglia. Dopo l'8 Settembre si precipitò a raggiungere ilfratello Jozo nell'esercito di Tito.

Crollata l'Italia fascista, Spalato era finita sotto il controllo degli utascia nazionalisti. Per i dirigenti dell'Hajduk poco cambiava: no avevano detto a Mussolini e no risposero a Pavelic. Organizzarono delle carovane clandestine fra le montagne per scovare giocatori. In poche settimane radunarono i migliori e ne organizzarono lo sbarco sull'isola di Lissa, quartier generale delle forze titine. Li soffriva Hrvoje Culic, così malato da non riuscire ad alzarsi dal letto. Lo ritrovò Jozo Matosic, che pur di arruolarlo contribuì ai massaggi di cui Hrvoje aveva bisogno. Il 7 Maggio 1944 venne officiata la rinascita del club alla presenza di ufficiali titini e britannici, fra cui anche Randolph Churchill, figlio di Winston. Tempo di oliare i meccanismi con un paio di amichevoli, e l'Hajduk si lanciò nella tournée che impegnò fino al termine della guerra. La squadra si trasferì a Bari, dove sfidò in una serie di partite le forze alleate. La più memorabile il 23 Settembre di fronte a 40 mila spettatori. La formazione dell'esercito britannico era quasi una nazionale: finì 7-2 per la corona (2-2 al 45'), complice un crollo fisico dei croati minati dalla febbre per le notti all'addiaccio . La rivincita si tenne a Spalato: 1-0 per l'Hajduk e quel gol restò il preferito di Frane Matosic fra i 729 in maglia bianca. 


L'Hajduk a quel punto era molto, ma molto più che un club: gli aerei alleati lanciavano quintali di volantini per esortare gli atleti dei paesi sotto occupazione a seguire l'esempio degli hajducki. La tournée proseguì in Africa e in Asia: a Beirut, dopo aver sconfitto l'esercito francese, , l'Hajduk venne proclamato "squadra della Francia libera" dal generale De Gaulle. Ma fu sul suolo jugoslavo che piovve la prova più difficile: conquistato dalle imprese del club, il maresciallo Tito propose di trasferirlo a Belgrado, associandolo perennemente all'esercito. Giocatori e dirigenti dissero no per la terza volta: erano dalmati - testardi come i pirati che infestavano l'Adriatico in epoca romana - e dalmati volevano restare. Per Culic, Matosic, l'allenatore Kaliterna e il resto della compagnia fu forse la decisione più difficile di una vita in direzione ostinata e contraria. Scelsero di restare fedeli al nome dell'Hajduk, che nella mitologia slava indica i fuorilegge alla Robin Hood  impegnati a combattere contro il potere. E Tito per consolarsi al suo posto fondò il Partizan  che, ironia della sorte, ebbe tra i suoi primi presidenti Franjo Tudjman, campione poi negli anni novanta del nazionalismo croato." 

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