venerdì 6 gennaio 2017

Coach Messina


TRATTO DAL LIBRO "Basket, uomini e altri pianeti" di Ettore Messina, addeditore






"... La priorità per l'allenatore di qualsiasi disciplina è offrire un ragionevole livello di competitività ai suoi discepoli: senza sfide e obiettivi lo sport non serve a niente. Nello sport di squadra c'è poi la difficoltà di perseguire la crescita del gruppo senza annullare le personalità dei singoli. Ribadisco con forza che i bambini devono essere messi di fronte a una sfida se vogliamo che la pratica sportiva abbia un senso. Dire sempre che va tutto bene ed essere contenti per le sconfitte non è per nulla educativo. (...) Data la scarsità di risorse, la domanda di coach supera nettamente l'offerta. Gli allenatori dei giovanissimi sono perciò in maggioranza giovani a loro volta. Il sottoscritto ha cominciato così a 17 anni, quando gli venne fatto capire che sarebbe stato più utile alla causa allenando che giocando. L'alternativa, vista la preparazione inesistente, era tra nuotare o annegare. E se in qualche maniera sono riuscito a stare a galla imparando dai miei errori, per quegli errori i miei giocatori dell'epoca hanno pagato un prezzo alto di cui mi dispiaccio. (...) Per un genitore senza conoscenze tecniche specifiche non è facile giudicare l'operato dell'allenatore del figlio. Consiglio di basarsi su due fattori, l'umore del bambino quando torna a casa dall'allenamento/partita e il livello di unità della squadra. Se mio figlio torna a casa con il sorriso e la sua squadra con altruismo e senza gelosie, significa che va tutto bene, indipendentemente dal colore del referto. Se invece troppo spesso si verifica il contrario, è meglio cambiare ambiente anche se arrivano le vittorie. Parlando da genitore, se Filippo vorrà continuare a giocare a basket come fa (entusiasta) ora, la mia posizione sarà delicata. Dovrò infatti trovare la maniera di stare vicino a lui senza essere soffocante nei confronti suoi e dell'allenatore. Ricorderò per sempre la sua fase di innamoramento per il basket, quando l'arrivo di qualsiasi amico della nostra casa moscovita (Lele Molin e Claudio Crippa i due più gettonati) comportava l'inizio dell'obbligatorio 2vs2 contro me e Laura. Filippo spegneva tutte le luci e cominciava a introdurre i giocatori snocciolando a memoria la formazione del Cska dell'epoca, poi riaccendeva le luci, faceva un pò di riscaldamento e dava inizio alle ostilità, interrotte solo ogni tanto da un time-out, cioè una pausa su una sedia preventivamente attrezzata con asciugamano per la bisogna. La parte difficile, come ben sanno i genitori di qualsiasi latitudine, arriva quando papà e mamma superano la naturale inclinazione a far vincere il bambino e gli insegnano, tramite la sconfitta, il rispetto dell'avversario e il riconoscimento della sua superiorità. Senza provare questa esperienza, per quanto drammatica all'inizio, lo sport non sarebbe quella perfetta metafora della vitain cui convivono frustrazione e gioia. Cioè, una cosa straordinaria."

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